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Visualizzazione dei post da febbraio, 2018

Happy pacer

L’ingresso del vento di Buriana coincide con un momento di una svolta radicale nella stagione podistica, ovvero il passaggio dall’agonismo spinto delle corse campestri al ruolo di pacer in una mezza maratona in quel di Treviglio, Bergamo, landa di impavidi runners che in quasi mille nel giorno del riposo affrontano un clima gelido con le scarpe da corsa invece che con ciabattoni davanti ad un camino. Cotanta transizione significa nei fatti passare dai terreni pesanti di prati e campi alla strada asfaltata, da sei chilometri corsi a tutta a ventuno fatti nel binario della regolarità e sopratutto dalla competizione accesa nello spirito ”a la guerre comme a la guerre” alla guida nella disponibilità di chi vuol dare il meglio per raggiungere un obiettivo. Tale lo choc quale accorgermi giusto in autostrada di aver lasciato il garmin proprio la, in bella vista sul tavolo di casa, come disposto dopo minuziosa ricarica la sera della vigilia. No dico, l’orologio per correre nel giorno di

Ogni santa Domenica

Non ci sono santi che tengano, non c’è freddo o pioggia, nel calendario invernale la Domenica c’è la corsa campestre. Sotto con Paderno Dugnano, oramai li conosco i miei avversari anche di questo circuito, avanti ed indietro prima del richiamo dello starter sulla linea di partenza vedi le solite gambe secche, le colorate maglie sociali, le facce un po’ scavate dei master over cinquanta, chissà come vestiti e cosa esercitanti dal lunedì al venerdì se bancari, meccanici, artigiani, professionisti, ma qui concentrati ad affrontare una mattinata dal clima rigido, correndo i canonici sei chilometri fuori pista, lontano dall’asfalto, a tutta, senza pietà per se stessi e gli altri. Li incrocio sgambettando ritualmente, i fedelissimi anche qui presenti, sia i primi della classe, un pugno di irraggiungibili specialisti, che quelli potenzialmente al mio livello, coi quali ci sarà battaglia e tutti gli altri che pure fanno numero a riempire il recinto di partenza e a disputarsi i posti

La scighera

Poi, dopo lo sai perché, o almeno così speri vestendoti, con la cortina bianca della scighera, la nebbia lombarda, fuori della finestra ad occultare la assopita Milano domenicale.   In strada sono incerti persino il garmin a trovare il satellite e le gambe a prendere una direzione, che poi è la solita, giù verso il naviglio dove il pilota automatico si innesta in un attimo e si tratta di capire non come lasciare indietro il torpore della notte ma perché iniziare il nuovo giorno così   traumaticamente. Con il freddo e con l’umido che penetrano la sottile barriera dei vestiti aderenti, raggiungendo   appena dopo quella del viso la pelle delle gambe, quella del torace, delle braccia e del collo, ci vogliono non meno di due chilometri, una decina di minuti, solo per avere una risposta dai muscoli e dal cuore, sei in movimento, anche oggi si vive. I passi seguono i passi guidando gli occhi alla ricerca del percorso parallelo alla via d’acqua intenta a sbuffare vapore sull’alz