L’ingresso del vento di Buriana coincide
con un momento di una svolta radicale nella stagione podistica, ovvero il passaggio
dall’agonismo spinto delle corse campestri al ruolo di pacer in una mezza
maratona in quel di Treviglio, Bergamo, landa di impavidi runners che in quasi
mille nel giorno del riposo affrontano un clima gelido con le scarpe da corsa
invece che con ciabattoni davanti ad un camino.
Cotanta transizione significa nei
fatti passare dai terreni pesanti di prati e campi alla strada asfaltata, da
sei chilometri corsi a tutta a ventuno fatti nel binario della regolarità e
sopratutto dalla competizione accesa nello spirito ”a la guerre comme a la
guerre” alla guida nella disponibilità di chi vuol dare il meglio per
raggiungere un obiettivo.
Tale lo choc quale accorgermi
giusto in autostrada di aver lasciato il garmin proprio la, in bella vista sul
tavolo di casa, come disposto dopo minuziosa ricarica la sera della vigilia.
No dico, l’orologio per correre
nel giorno di gara lo metto sempre ancor prima delle mutande, vedi un po' che
oggi, proprio oggi, che di mestiere bisogna fare i metronomi, non posso
disporre del fido cronometro; immaginarsi, con le debite distanze, Harry Potter
senza la bacchetta, Dart Fener senza la spada laser, Indiana Jones senza frusta
o Tex willer senza la colt.
Ciro, l'affiatato compagno di
viaggio e di ritmo di corsa per l’obiettivo di pacing, intuisce quel mio attimo
di disagio impercettibile, a livello - fammi scendere che torno a casa sulle
ginocchia a prenderlo e poi vi raggiungo in bicicletta – e ridefinisce
l’eterogeneo asse Calabro-Lombardo, Barone & Brambilla, classi distanziate
da un ventennio a ritroso dall’85 al ’65, con un atto di autentica generosità:
- tieni tu il mio orologio, fai tu il ritmo, io sostengo il gruppo e faccio animazione o rianimazione, per
quanto mi riguarda tengo il solo cardiofrequenzimetro, giusto per riscontro.
La cosa tutto sommato ha un suo
senso e può funzionare ed allora eccoci belli sereni e freschi in palestra dal benemerito armiere
Oscar che con dedizione professionale ci paramenta dalla cintola in su come e meglio
dei portatori delle effigi di Sant’ Antonio da Padova, con maglie, dorsali,
braccialetti e palloncini, giusto da passare inosservati come deve essere dalla
foto di gruppo in poi.
In vero la coppia di palloncini
gialli personalizzati con nome e tempo obiettivo e con filo extended version si
dimostrano quell’attimo invasivi quando devo cercare un minimo di privacy per
la minzione di ordinanza nei minuti antecedenti il via su una siepe a margine
strada, dando le spalle ai passanti:
- si, sono un official pacer, ma seguitemi dopo, quando partiamo tutti da sotto il gonfiabile, tra
due minuti sono li e ci diamo pure una pacca sulla spalla e ci presentiamo
meglio … .
Un sobrio conto alla rovescia fino
al secco pronti via e si va, fianco a fianco con Ciro e i palloncini che
sballonzolano bassi, strattonati dal forte vento.
Dal parterre delle prime file la
partenza è arrembante e nei primi cinquecento metri si fa fatica a
stabilizzarsi su traiettorie e ritmi consoni al ruolo di giornata, tralasciando
la tentazione di applicare il ruvido stile gomito largo, spinta potente e
taglio traiettoria ormai assorbito da oltre un mese ininterrotto di campestri,
anche perché, come di diritto, qui ci si addossano in diversi per garantirsi un
posto in pole e hai voglia a cercare spazi di continuità e regolarità!
Ma giusto il tempo di un giro di
lancio intorno al centro e poi ci si dirige verso la campagna aperta sulle cui poderali è facile
assestarsi, potendosi anche voltare e contare in un bel gruppo compatto che
sprizza determinazione e voglia di correre bene, a dispetto delle condizioni
climatiche non facilissime.
Democraticamente rendo pubblica
la decisione di approfittare della leggera pendenza favorevole e soprattutto
del vento alle spalle per limare qualche secondo nei primi chilometri e capitalizzare
un qualche vantaggio da spendere nella parte finale dove necessariamente si
pagherà pegno sui medesimi fronti.
Qualche astenuto o non pervenuto,
alcuni espressamente favorevoli, nessun contrario, il plotone approva, dunque
via così sui quattro minuti e dieci secondi al chilometro accumulando un
minutino di anticipo sulla tabella di marcia, quella che in teoria ho al polso,
ma che tra guanto e doppia maglia finisce per accartocciarsi divenendo presto
non intelligibile al mio occhio presbite e lacrimante per l’aria pungente da
cima alpina piuttosto che da valle padana.
Ma tanto c’è Ciro, posso sempre
chiedere a lui al prossimo riferimento, io gli dico il tempo e lui guarda la
tabellina e insieme processiamo l’esito.
Ok, ammettiamolo, l’assetto non è
proprio ottimale nell’era digital, suona da barzelletta in cui uno sa leggere e
l’altro sa scrivere e in effetti adesso cosa starà dicendo Ciro a quello
dall’occhiale tecnologico che vuole sapere come stiamo andando:
-
Il ritmo? E che cacchio vuoi ne sappia io?
Per parte mia forse nell’eventualità
potrei dire al passeggero che bussa alla cabina di pilotaggio e scopre di un apparente malfunzionamento della strumentazione:
- Se ci tieni possiamo chiedere laggiù passando in
paese a quelli della protezione civile a che chilometro stiamo, poi vedere
l’ora sul campanile e se ci fermiamo un momento all’edicola facciamo due conti,
senno chiedi a chiunque altro qui intorno, ma figlio mio in ogni caso i pacer che cosa vuoi
che ne sappiano di passo e tempi ?!
Comunque sia si procede
discretamente bene e con apprezzabilissimo spirito, pur non essendo nella aperta campagna neanche sostenuti dal calore di qualche bovino
ben asserragliato nelle stalle, con le sensazioni a tenere botta all’elettronica,
anche quando da poco oltre la metà il percorso piega per il ritorno verso
Treviglio e qualche leggera pendenza restituisce la quota discesa in precedenza
ma soprattutto il vento in faccia ostacola l’avanzata, invitando il gruppo a
compattarsi come uno stormo migratore.
Sarà uno sporco lavoro ma è certo debba farlo qualcuno in carne ed ossa, con imprecisioni ed errori e non una lepre meccanica regolata da microprocessore, come dimostra il momento che inesorabile arriva verso il finale di fare morale e dare qualche piccolo stimolo a chi pare più in difficoltà, fino a che si raggiungono nuovamente le prime propaggini dell’abitato. Qualcuno prende coraggio ed inizia a staccarsi aumentando il passo, con la benedizione dei pacer, non scevra dall’istinto represso di rispondere a mia volta con una progressione a lanciare uno sprint.
Buono e calmo, oggi no, non si fa così, niente classifica, oggi all’ultimo chilometro si lanciano gli altri, incoraggiandoli a prendere il volo, citius altius fortius, per tagliare un traguardo con la soddisfazione di una prima volta o di aver dato il massimo.
Sarà uno sporco lavoro ma è certo debba farlo qualcuno in carne ed ossa, con imprecisioni ed errori e non una lepre meccanica regolata da microprocessore, come dimostra il momento che inesorabile arriva verso il finale di fare morale e dare qualche piccolo stimolo a chi pare più in difficoltà, fino a che si raggiungono nuovamente le prime propaggini dell’abitato. Qualcuno prende coraggio ed inizia a staccarsi aumentando il passo, con la benedizione dei pacer, non scevra dall’istinto represso di rispondere a mia volta con una progressione a lanciare uno sprint.
Buono e calmo, oggi no, non si fa così, niente classifica, oggi all’ultimo chilometro si lanciano gli altri, incoraggiandoli a prendere il volo, citius altius fortius, per tagliare un traguardo con la soddisfazione di una prima volta o di aver dato il massimo.
Soddisfazione che, quando a duecento metri dall’arrivo sospingiamo gli ultimi aspiranti alla soglia dei novanta minuti, è pure il coronamento della nostra ventun chilometri: i secondi del cronometro ufficiale scivolano via ormai irrilevanti come la nostra classifica mentre i più del gruppo dell'ora e mezzo è già oltre il traguardo e brinda a tè e integratori con la medaglia al collo.
E alla fine, dopo l'albero degli zoccoli la storia è questa.
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