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Ogni santa Domenica


Non ci sono santi che tengano, non c’è freddo o pioggia, nel calendario invernale la Domenica c’è la corsa campestre.

Sotto con Paderno Dugnano, oramai li conosco i miei avversari anche di questo circuito, avanti ed indietro prima del richiamo dello starter sulla linea di partenza vedi le solite gambe secche, le colorate maglie sociali, le facce un po’ scavate dei master over cinquanta, chissà come vestiti e cosa esercitanti dal lunedì al venerdì se bancari, meccanici, artigiani, professionisti, ma qui concentrati ad affrontare una mattinata dal clima rigido, correndo i canonici sei chilometri fuori pista, lontano dall’asfalto, a tutta, senza pietà per se stessi e gli altri.
Li incrocio sgambettando ritualmente, i fedelissimi anche qui presenti, sia i primi della classe, un pugno di irraggiungibili specialisti, che quelli potenzialmente al mio livello, coi quali ci sarà battaglia e tutti gli altri che pure fanno numero a riempire il recinto di partenza e a disputarsi i posti sulla ampia linea di partenza.

Ci si scruta quel tanto che basta a  schivarsi negli allunghi e a prefigurare i gruppi che probabilmente si formeranno in corsa dopo il via.

Io vedo bene chi mi ha battuto nelle precedenti tappe e mi riprometto di lasciare da parte l’intonazione non proprio positiva della giornata, aperta al gabinetto a casa e transitata per la turca presso gli spogliatoi al campo, la maglia termica dovrà bastare a tenere calda la pancia ed un berrettone la testa, non c’è storia si parte ora e un po’ di fiato e gambe in più le ho messe assieme, dimenticato l’alibi di un ormai lontano infortunio.
Via, giro uno per posizionarsi, lasciare andare gli intoccabili, stare allineati e coperti in un gruppo adeguato, fatto: primo chilometro nel mucchio senza affondare, secondo chilometro a prendere le misure limitando i danni sugli ostacoli di giornata, due collinette e una serie di piccoli dossi artificiali, abbastanza bastardi nel doverci mettere i piedi sopra senza poterli saltare con il rallentamento e tutto lo sforzo conseguente.

Giro due, sputo e scatarro a ripetizione, la pancia non proprio neutrale ma sufficientemente collaborativa e si gira a buon ritmo, recuperando senza ammazzarmi preziose posizioni, con molte schiene note lasciate indietro.

Al chilometro quattro, ancora via collinette, via dossi, tiro quel poco che basta per un nuovo sorpasso dall’esterno in anticipo su una prossima curva secca che stringo sfiorando paletto e bandella di delimitazione.
Da dietro il sorpassato, con la linea breve chiusa mentre tentava una reazione, mi tocca la schiena esclamando un richiamo secco: “ehi!”.
Se fossimo stati su un campo di calcio sarebbe stato un: “ehi, fallo, arbitro!”.
Ma qui siamo in corsa su un prato ai limiti di soglia aerobica, non ci si ferma ed il fiato è prezioso, quindi resta solo “ehi!”, mentre il pensato più completo e ovvio e ben percepito attraverso il contatto con la mano è “stronzo maledetto, come ti permetti? Se fossimo su un campo da calcio al prossimo contrasto ti sistemerei perone e malleolo”    
Non mi scompongo punto, ho pista davanti e margine per un ulteriore piccola accelerazione ed, alzando una mano col palmo aperto in direzione dell’avversario, profferisco bonariamente: “scusa”.

“scusa” che su un campo da calcio avrebbe potuto essere recepito come: “scusa, forse sono entrato fuori tempo, ma non me ne ero accorto fossi lì, farò attenzione nei prossimi contatti, risparmiamo peroni e malleoli” ma che nella seconda metà di un gara di cross può essere letto come: “scusa tesoro, ti ho rubato il tempo, ma non avevo visto fossi un fiorellino di mamma alla canna,  che ha paura di piantarsi uno stinco sui chiodi del richiamo di gamba di chi sta davanti”.

“scusa” di cui l’inevitabile contestualizzazione autentica del sorpassato sortisce il più probabile effetto di annichilirlo, come risucchiato all’indietro, non più rinvenuto nei successivi metri, da cui ci si guarda avanti per il posizionamento nell’ultimo decisivo giro.

Ora, in  un vivace gruppetto di tre o quattro in cui alternanze di posizioni si succedono con frequenza, si tratta di valutare le proprie forze residue e decidere se proporre una qualche azione o stare alle altrui iniziative. Sempre per dire, alla mezz’ora del secondo tempo di una partita di calcio, sul due a due andare in attacco o concentrarsi sul centrocampo.

Quando un altissimo concorrente, verde canotta vestito, parte deciso a riacciuffare una pattuglia avanti una trentina di metri  in realtà posso solo osservare la sua lunga falcata involarsi e, non avendo una panchina a cui chiedere una sostituzione, prepararmi al meglio per gli ultimi minuti di gara.
Certamente fuori da posizioni nobili il concetto base del finale della gara di cross è:
trovati un avversario alla tua portata e giocatela come se fossi in lizza per un titolo mondiale, nono, trentatreesimo o centesimo non conta … e qui il paragone è con un adolescente single alla festa in discoteca alla mezzanotte di capodanno …
Bene, eccolo il mio antagonista, l’ho passato mi ha ripassato e ancora da capo e adesso è avanti lui. Mancando un cinquecento metri al traguardo, sta accelerando leggermente almeno così pare ai miei dolenti polmoni e agli altri inseguitori ormai attardati.

Lo tengo, siamo io e lui, lo riconosco, mi ha battuto in tutte e due le precedenti gare, adesso però la musica è diversa, il cruscotto dice fiato si, gambe si, cuore si, volontà (di soffrire) si, allora che facciamo?
Il traguardo è dietro l’ampia curva a sinistra da cui tagliare verso destra per un'ultima curva a destra e un breve rettilineo, occultato da una siepe oltre la quale si sente lo speaker annunciare gli arrivi e si intravede il gonfiabile.
Siamo all’ottantanovesimo, è mezzanotte meno un minuto, io non ci penso due volte e che son venuto a fare sennò: prendo un fiato e allargo secco, via di frequenza, vai di piedi, spremi polpacci e gambe e mulina le braccia e vola o almeno credici!
Lui ci mette un tentativo poco convinto, ma questa volta no, è il portiere uccellato e può al più andare a raccogliere il pallone imprecando,  così farei io in cuor mio, ma chi cazzo sei, benzinaio, avvocato, bancario, imbianchino, fottiti amico mio!
Non c’è più dietro, vuoto  alle mie spalle e fiamme dell’inferno tanto faccio girare le gambe col cuore in gola ed in apnea totale fino alla maledetta riga dove finisce la fatica ma sale l’affanno come dal profondo di un voragine incolmabile.
Se fossimo stati su un campo da calcio questo era un gollone con tiro di collo pieno sfonda rete cui far seguire corsa togliendosi la maglietta sotto la curva.
Ma siamo su un campo di corsa campestre e devo aspettare almeno qualche minuto a godere della semplice aria fresca che respiro.

Che è un bel godere a ben pensarci, gratis e quasi sempre disponibile, ma anche per realizzare questo mi ci vuole un tot di cross della domenica.

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