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Vaiano Valle

Fuori dal portone, se ti fai portare dai piedi senza programmi e mete, è la strada stessa a chiederti "a sinistra o a destra?" e poi ancora, al successivo incrocio a destra o a sinistra, per teoriche infinite possibilità di percorsi. Spesso è però l’abitudine, più che la logica a decidere e a ricondurre a tracciati costanti, limati fino all’usura dalle tante ripetizioni, gli effettivi percorsi. Per la riga dritta dei navigli non è più tempo, sembra un'altra vita quando si scendeva l’alzaia fin verso Corsico, Rozzano o anche Gaggiano, avanti e indietro accodandosi ad altri, affiancando e incrociando assoluti sconosciuti, scambiando cenni e saluti o condividendo un tratto con chiacchere ritmate dall’impegno della respirazione. In questi mesi e settimane la corsa è diventata un affare solitario, lontano da eventi, confinato in orari e spazi isolati e remoti. Allora il quadrante delle mie possibili direttrici, da sempre centrifughe, ha ruotato da sud-ovest a sud, volgendo
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Due maratone in una

-           Un week end impegnato dal sabato mattina alla domenica pomeriggio per una corsa e neanche correre, ma perché? -         Amo l'ambiente della corsa e respirare l’energia che sprigiona. Dentro alla corsa dei ragazzi e alla staffetta in questa primavera di mia vacazione dalla maratona, raccolgo un’occasione di partecipare da una prospettiva diversa ritornando anche un po' del tanto che ho ricevuto. Fa freddo alle otto fermo reggendo la bicicletta ad aspettare la partenza e il primo staffettista cui aprire la strada. Qualche brivido vedendo i maratoneti entrare nelle griglie carichi di aspettative, concentrazione, paure, esaltazione e tensione e i top runner scalpitare scaldandosi davanti a tutti. Partita la prima ondata di maratoneti, ancora minuti di attesa poi si muovono gli staffettisti come la piena di un fiume, verso di me, verso la prima curva e la salitella dei bastioni, le moto dei vigili con le sirene in testa e adesso parto in piedi

Happy pacer

L’ingresso del vento di Buriana coincide con un momento di una svolta radicale nella stagione podistica, ovvero il passaggio dall’agonismo spinto delle corse campestri al ruolo di pacer in una mezza maratona in quel di Treviglio, Bergamo, landa di impavidi runners che in quasi mille nel giorno del riposo affrontano un clima gelido con le scarpe da corsa invece che con ciabattoni davanti ad un camino. Cotanta transizione significa nei fatti passare dai terreni pesanti di prati e campi alla strada asfaltata, da sei chilometri corsi a tutta a ventuno fatti nel binario della regolarità e sopratutto dalla competizione accesa nello spirito ”a la guerre comme a la guerre” alla guida nella disponibilità di chi vuol dare il meglio per raggiungere un obiettivo. Tale lo choc quale accorgermi giusto in autostrada di aver lasciato il garmin proprio la, in bella vista sul tavolo di casa, come disposto dopo minuziosa ricarica la sera della vigilia. No dico, l’orologio per correre nel giorno di

Ogni santa Domenica

Non ci sono santi che tengano, non c’è freddo o pioggia, nel calendario invernale la Domenica c’è la corsa campestre. Sotto con Paderno Dugnano, oramai li conosco i miei avversari anche di questo circuito, avanti ed indietro prima del richiamo dello starter sulla linea di partenza vedi le solite gambe secche, le colorate maglie sociali, le facce un po’ scavate dei master over cinquanta, chissà come vestiti e cosa esercitanti dal lunedì al venerdì se bancari, meccanici, artigiani, professionisti, ma qui concentrati ad affrontare una mattinata dal clima rigido, correndo i canonici sei chilometri fuori pista, lontano dall’asfalto, a tutta, senza pietà per se stessi e gli altri. Li incrocio sgambettando ritualmente, i fedelissimi anche qui presenti, sia i primi della classe, un pugno di irraggiungibili specialisti, che quelli potenzialmente al mio livello, coi quali ci sarà battaglia e tutti gli altri che pure fanno numero a riempire il recinto di partenza e a disputarsi i posti

La scighera

Poi, dopo lo sai perché, o almeno così speri vestendoti, con la cortina bianca della scighera, la nebbia lombarda, fuori della finestra ad occultare la assopita Milano domenicale.   In strada sono incerti persino il garmin a trovare il satellite e le gambe a prendere una direzione, che poi è la solita, giù verso il naviglio dove il pilota automatico si innesta in un attimo e si tratta di capire non come lasciare indietro il torpore della notte ma perché iniziare il nuovo giorno così   traumaticamente. Con il freddo e con l’umido che penetrano la sottile barriera dei vestiti aderenti, raggiungendo   appena dopo quella del viso la pelle delle gambe, quella del torace, delle braccia e del collo, ci vogliono non meno di due chilometri, una decina di minuti, solo per avere una risposta dai muscoli e dal cuore, sei in movimento, anche oggi si vive. I passi seguono i passi guidando gli occhi alla ricerca del percorso parallelo alla via d’acqua intenta a sbuffare vapore sull’alz

dalla città alla campagna

Buongiorno cari tele spettatori, apriamo da Cesano Maderno una speciale diretta della prima tappa del popolarissimo, come dice il nome stesso, “cross per tutti”, circuito in cinque tappe di corsa campestre sulla distanza di circa sei chilometri, a fianco a me Luca per commentare sin dal primo avvio l’intensa giornata podistica che riunisce i numerosissimi atleti delle categorie master e giovanili con protagonisti di livello nazionale. Si Franco, infatti oltre a seguire come tradizionalmente avviene lo svolgersi della gara sullo sviluppo del percorso di tre giri per due chilometri   di ogni batteria, oggi vi vogliamo mostrare in diretta, al pari delle gesta agonistiche sul campo, la giornata podistica di alcuni amatori e come vivono la loro passione per l’atletica in una specialità tradizionale, ma non tanto conosciuta al grande pubblico, come la corsa campestre o cross nella terminologia del mondo anglosassone. Passo la parola ad Elisabetta che da Milano ci darà degli scorci della p

Lavare i panni in Arno

Maurizio aveva raggiunto me e Ciro, arrivati a Firenze a metà della mattinata del sabato novembrino viglia della maratona nel bar in cui stavamo consumando il pranzo. Dopo i saluti e convenevoli era entrato da persona schietta senza giri di parole in argomento quarantadue chilometri: -           Voi come state, come pensate di farla? Al mio turno avevo altrettanto direttamente sintetizzato quella che di fatto era la mia mancata preparazione: due mesi sostanzialmente fermo a causa di un infortunio alla gamba sinistra in un primo tempo denegato e ricusato fino alla zoppia e all’invitabile stop, interrotto giusto negli ultimi dieci giorni da qualche uscita sperimentale, in altri tempi classificabile a livello di passeggiata che se da un lato aveva detto che si, potevo correre senza dolore, dall’altro aveva dato tutta la misura di cosa significhi ricominciare da principio dopo una prolungata interruzione forzata. In effetti ero lì proprio in ragione dell’aver organizzato il via