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Correre con la pioggia estiva



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Ogni santa Domenica

Non ci sono santi che tengano, non c’è freddo o pioggia, nel calendario invernale la Domenica c’è la corsa campestre. Sotto con Paderno Dugnano, oramai li conosco i miei avversari anche di questo circuito, avanti ed indietro prima del richiamo dello starter sulla linea di partenza vedi le solite gambe secche, le colorate maglie sociali, le facce un po’ scavate dei master over cinquanta, chissà come vestiti e cosa esercitanti dal lunedì al venerdì se bancari, meccanici, artigiani, professionisti, ma qui concentrati ad affrontare una mattinata dal clima rigido, correndo i canonici sei chilometri fuori pista, lontano dall’asfalto, a tutta, senza pietà per se stessi e gli altri. Li incrocio sgambettando ritualmente, i fedelissimi anche qui presenti, sia i primi della classe, un pugno di irraggiungibili specialisti, che quelli potenzialmente al mio livello, coi quali ci sarà battaglia e tutti gli altri che pure fanno numero a riempire il recinto di partenza e a disputarsi i posti

Happy pacer

L’ingresso del vento di Buriana coincide con un momento di una svolta radicale nella stagione podistica, ovvero il passaggio dall’agonismo spinto delle corse campestri al ruolo di pacer in una mezza maratona in quel di Treviglio, Bergamo, landa di impavidi runners che in quasi mille nel giorno del riposo affrontano un clima gelido con le scarpe da corsa invece che con ciabattoni davanti ad un camino. Cotanta transizione significa nei fatti passare dai terreni pesanti di prati e campi alla strada asfaltata, da sei chilometri corsi a tutta a ventuno fatti nel binario della regolarità e sopratutto dalla competizione accesa nello spirito ”a la guerre comme a la guerre” alla guida nella disponibilità di chi vuol dare il meglio per raggiungere un obiettivo. Tale lo choc quale accorgermi giusto in autostrada di aver lasciato il garmin proprio la, in bella vista sul tavolo di casa, come disposto dopo minuziosa ricarica la sera della vigilia. No dico, l’orologio per correre nel giorno di

quel che resta del viaggio

Se il viaggio è “L’andare da un luogo ad altro luogo, per lo più distante, per diporto o per necessità, con un mezzo di trasporto privato o pubblico” la maratona è per me sicuramente un viaggio e non certamente breve in relazione al mezzo – le nude gambe –. La maratona di Milano, questa maratona di Milano 2017, tra le altre maratone e come molte altre maratone, è peraltro un viaggio imperfetto, letteralmente un fantastico raggiro, in cui migliaia di viaggiatori – i maratoneti – partono da un preciso punto, rigorosamente segnato – la linea di partenza –, per arrivare, percorrendo la canonica distanza di 42.195 metri, in un altro punto anche esso rigorosamente segnato – la linea di arrivo – di fatto collocato a poche decine di metri dal primo. La civiltà ha creato questa specie di viaggiatori, nominati atleti o sportivi, che al pari degli appartenenti all’altra razza figlia del progresso, i turisti, si muovono con grande dispendio di energie e non per strette necessità di soprav