Fuori dal portone, se ti fai portare dai piedi senza programmi e mete, è la strada stessa a chiederti "a sinistra o a destra?" e poi ancora, al successivo incrocio a destra o a sinistra, per teoriche infinite possibilità di percorsi.
Spesso è però l’abitudine, più che la logica a decidere e a ricondurre a tracciati
costanti, limati fino all’usura dalle tante ripetizioni, gli effettivi percorsi.
Per la riga dritta dei navigli non è più tempo,
sembra un'altra vita quando si scendeva l’alzaia fin verso Corsico, Rozzano o
anche Gaggiano, avanti e indietro accodandosi ad altri, affiancando e
incrociando assoluti sconosciuti, scambiando cenni e saluti o condividendo un
tratto con chiacchere ritmate dall’impegno della respirazione.
In questi mesi e settimane la corsa è diventata un affare solitario, lontano da eventi, confinato in orari e spazi isolati e remoti.
Allora il quadrante delle mie possibili direttrici, da sempre centrifughe, ha ruotato da sud-ovest a sud, volgendo l’orizzonte remoto dalla Lomellina
all’Emilia, il che nell’immediato, su questo marciapiede che sempre mi aspetta
all’inizio ed alla fine, vuol dire sinistra – dritto – sinistra – dritto oltre
l’anello della circonvallazione esterna sul viale Ripamonti, attraverso il
quartiere Vigentino.
Milano in questa parte meridionale non ha avuto lo stesso vigore espansivo che a nord, dove il richiamo delle industrie ha consumato prati, campi e boschi e fagocitato in pochi decenni comuni satelliti. Qui la crescita della città si è arenata verso campagne punteggiate da isole fatte di borghi contadini o di veri avamposti colonizzatori come l’abazia di Chiaravalle.
Cercando di raggiungere quest’ultima, una Domenica
dell’ultimo inverno ho iniziato ad esplorare correndo vie, isolati, giardinetti
di una zona per i foresti al più di transito.
Appena lasciate le poche arterie di circolazione
come via Ripamonti ovunque strade vuote, lunghi dritti con pochi semafori e
scarso traffico, dal mio punto di vista perfetti per correre senza troppe cure o circospezione.
Non si incontrano vedute mozzafiato, attrattive
storiche o bellezze culturali ma la placida calma di qualche canale secondario lontano
dalla ribalta mondana, ciclabili urbane appena tracciate in attesa di
trasformazione di aree dismesse e, un bel momento, come un’apparizione di una
vestigia in un bosco, un cartello, meglio due verso una svolta di quelle che
nove volte su dieci si ignorerebbero in un girovagare libero.
“Abbazia di Chiaravalle” - “Cimitero di Chiaravalle”, tutt’uno per di là a passi decisi verso due curve di quelle rotonde, subito dimentiche delle spigolose geometrie rette della città ormai incontrovertibilmente alle mie spalle come testimoniano imboccando la via nominata Vaiano Valle paracarri di granito e lembi di terra incolti che avrebbero voluto essere giardinetti.
L’ho percorsa da questo inverno ormai decine di
volte avanti e indietro fino al marmurin, il cimitero di chiaravalle o come lato del periplo del parco della Vettabbia, con la nebbia fredda in gennaio, con la pioggia fine in febbraio per
ritrovarla a maggio impreziosita da campi di grano punteggiati dallo scarlatto
dei papaveri, ma quella svolta che segna la transizione dall’inurbato è sempre
come il passaggio di un valico di accesso ad un mondo diverso.
I palazzi degli anni 70 fermandosi prima dell’inizio
di via Vaiano Valle non hanno potuto domarne le curve tutte diverse, tutte
improvvisate a mano libera da chi ha tirato canali e con loro la poderale per
solcare i campi fino alla Abbazia. Anche i pensieri correndo qui sembrano procedere più fluidi secondo il loro alveo naturale che proprio retto non è.
Un pensiero che forse meglio definire idea oppure
istinto mi dice di imboccare lo sterrato che d’improvviso compare tra due
alberi. Già l’ho adocchiato più volte con la curiosità di sapere dove possa
portare e oggi con l’aria tersa, i campi verdeggianti delle colture di mais
ancora basse mi sfida a calpestarlo e col minimo anticipo sposto il peso del corpo di lato per cambiare
traiettoria, passo e prospettiva.
Ora pure la maglietta è un di più indossata,
allora senza fermarmi la sfilo dal collo per re infilarne un lembo nei
pantaloncini, lasciando penzolare su un fianco quello che ne spunta, sentendo
con piacere aria e sole diretti sul petto umido.
In breve però lo sterrato diventa una striscia sottile di
terra bruna tra il seminato e le foglie cariche di umidità che mi lambiscono le
gambe fino al ginocchio altrettanto velocemente mi inzuppano le scarpe. Non mi
resta che assecondare il gioco in cui mi sono lanciato adattando ancora il passo
con maggiore attenzione ai più frequenti e ravvicinati passi, accantonando il
timore per la presenza di qualche biscia o topolino non visibile ai miei piedi.
Qualche ulteriore incrocio di tracce di sentiero,
un piccolo guado da passare con un salto e si torna su una carrabile di candido brecciolino, non senza
portare sui polpacci memorie della terra attraversata e, tornando ad allungare
le falcate, fin troppo presto e tanto repentinamente quanto lo si era
abbandonato, ricompare l’asfalto di vie urbane con tanto di civici numeri.
Strade di periferia poco battute dove gli anziani
avventori ai tavolini esterni di un anonimo bar non possono anche da lontano non notare da sopra
le mascherine chirurgiche d’ordinanza l’incedere di una insolita figura,
sbucata da chissà dove con un effetto sorpresa che manco la riemersione di un
sottomarino nel porticciolo di un paesino lacustre potrebbe indurre.
Io stesso, se potessi vedermi oggettivamente non saprei cosa possa essere più dissonante e disturbante per il placido contesto di un cappuccino di inizio giornata, se il ciack ciack cigolante delle scarpe zuppe d’acqua con effetto dopler, la sproporzione tra epidermide coperta e pelle sfrontatamente all’aria, antigeniche chiazze di terra e lembi di foglie ed erba appiccicati dalle gambe fino all'addome e sulla schiena o quella incontenuta e sfacciata respirazione frequente a pieni polmoni.
O forse piuttosto quel singolare sorriso non censurato da filtri?
Da dove spunta, cosa avrà combinato, quel pazzo addirittura sembrava ridere così conciato!
Ormai è andato, giù di la, riassorbito verso il centro città, tanto vicino e tanto lontano da Vaiano Valle.
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