Stavolta non ho corso, sono
partito dopo gli ultimi e raggiungendo via via tutti gli oltre quattromila
partecipanti mi sono fermato con il primo, credo non avendo mai partecipato
cosi pienamente ad una gara podistica, pur non classificandomi.
Nemmeno mi hanno squalificato
anche se stavo in sella ad una bicicletta ed anzi ho potuto accompagnarmi a
tutti i protagonisti della corsa nel momento di massima esultanza, quando
ciascuno di essi arrivava al traguardo, perché come ciclista al servizio della corsa stessa ,
la Wings for Life, dove il traguardo di ognuno è alla distanza cui riesce ad
arrivare prima di essere raggiunto da una automobile che implacabilmente insegue
con velocità in lenta progressione i corridori sul percorso prestabilito.
All’una P.M. locale, in
contemporanea mondiale il via, con i campioni che balzano in avanti
risucchiando dietro di se in un vortice di coriandoli la lunga teoria di
corridori che un gruppo di noi ciclomuniti segue anticipando la carovana di
mezzi di supporto, ambulanze, staffette motociclistiche ed infine la catcher car che lascia una
precisa mezz’ora di vantaggio prima di avviarsi.
Poche centinaia di metri sui
pedali e ci troviamo a scortare la camminata spensierata di una coppia di arzilli
anziani a passo di fit walking. Attraversiamo così piazza Pagano, piazza Verdi
e viale Monterosa chiacchierando di passeggiate e fotografando il superamento
del cartello del terzo chilometro, loro personale record di distanza rispetto
alle passate edizioni, mentre dietro bollono i motori di due ambulanze, tre
veicoli di supporto corsa, si surriscaldano le frizioni delle moto delle
pattuglie di vigili e tutt’intorno le forze d’ordine sembrano cedere alla
pressione del traffico bloccato come l’ultimo bastione ad El’Alamein. Poco
prima che sopraggiunga la cosiddetta catcher car ci accomiatiamo simpaticamente
e per parte mia con un po’ di sollievo, come avessi alle spalle un ondata di
marea insorgente, invitandoli, come da programma a disporsi sul lato destro
della strada per essere correttamente rilevati senza intralci.
Inizia così davvero la risalita
di oltre quattromila partecipanti incominciando da famiglie coi bambini,
eccitati all’approssimarsi della roboante carovana che pone fine, non prima di
un ultimo scatto, alla loro corsa, accostando e disciplinando con preavvertimenti
chi si accosta ad una manifestazione benefica e sportiva senza particolari
velleità agonistiche che non divertirsi girando la città in modo inusuale, in
attesa di farsi il rituale selfie sul proprio traguardo, gratificati a sentirsi
comunicare la distanza percorsa in multipli del chilometro con un semplice
complimento. Chi ride, chi esulta, chi tira un sollievo per il termine della
fatica, centinaia di facce e con l’avanzare dei chilometri il paesaggio umano
dei podisti cambia rapidamente come il panorama risalendo una vallata. Verso la
circonvallazione ormai io e gli altri ciclisti assegnati alla coda superiamo
corridori rigorosamente in tenuta tecnica, prevalentemente coi colori della
società sportiva di appartenenza e con un proprio obiettivo in termini di
percorrenza. Prima del trentesimo chilometro accosto un gruppetto in apparente
affanno e dalla mia agevole posizione in sella lì pungolo a non farsi eliminare
dalla ormai prossima catcher car prima della misura tonda a loro portata. Con
reciproca soddisfazione vedo tutti reagire e approdare all’ambita distanza
mentre li lascio con i miei complimenti, necessariamente già concentrato su chi
precede, ormai in fila più rarefatta.
Superandoli ho salutato,
applaudito e incoraggiato tra gli altri tanti amici, compagni di squadra e mio
fratello precisissimo nell’atterrare dove voleva finire la sua fatica e adesso,
a ritmo di a pedalata appena più sostenuto, risalgo verso la testa della gara,
affiancando progressivamente, sempre quale avanguardia della catcher,
ultramaratoneti messi ancora più a dura prova dal sole che intanto ha sgombrato
il cielo alzando sensibilmente la temperatura.
Così, quando ci si instrada per
il naviglio pavese uscendo da Milano, la
competizione riguarda ormai atleti ben allenati in grado di correre la distanza
classica della maratona ed il mio compito di accompagnatore e convogliatore del
corpo della corsa si intenderebbe esaurito ma tanta è ormai la mia
compartecipazione al progredire dell’evento che mi arrischio a proseguire anche
senza avere un passaggio di ritorno garantito, con peraltro qualche beneficio
accordato da battitore libero.
Arrivo in questo modo all’altezza
della certosa di Pavia a raggiungere la prima donna che, già abbondantemente
seguita da colleghi ciclisti, cameramen e staffette motociclistiche varie,
posso osservare liberamente nella sua azione in una fase del tutto particolare.
Ha una cadenza di passi piuttosto ravvicinati con una frequenza non più
elevatissima, evidentemente irrigidita dal prolungato sforzo prodotto, ma
soprattutto un espressione fissa imperturbabile da cui campeggiano occhi
centrati con determinazione sull’orizzonte. Vi scorgo nitida la sottile linea
di equilibrio interiore su cui e grazie alla quale sta correndo, cercando di
conservarla ancora per qualche minuto prima di essere eliminata. Con un collega
biker anticipiamo quel momento sganciandoci in avanti a raggiungere i primi
uomini, ormai enumerabili sulle dita di una mano. E’ il momento ciclisticamente
più appagante della giornata, in due ci alterniamo a tirare a discreta velocità
come fossimo in fuga ad una tappa del giro di Italia e dopo aver pedalato
qualche chilometro lungo la ciclabile del naviglio pavese e della provinciale,
grazie anche alle ottime divise ufficiali e la tabella di accredito collocata
sulla bici, entriamo in Pavia e ne attraversiamo il centro in velocità entro un
percorso transennato e ben presidiato da pattuglie varie che al nostro
passaggio si adoperano nel fermare il traffico ed indicarci la direzione da
seguire.
Intercettiamo il quarto e terzo
uomo della temporanea graduatoria in rapida successione sul lungo fiume di
Pavia ma anche in queste posizioni la nostra presenza è sovrabbondante e allora
progrediamo con trepidazione verso la testa della corsa per assistere alla
battaglia decisiva tra i due corridori più avanzati sperando di essere
testimoni diretti di una nuova impresa di re Giorgio.Contro le mie previsioni tuttavia le prime gambe in corsa avvistate sono inequivocabilmente quelle con la falcata inconfondibile di Calcaterra.
Le seguo e studio con grande interesse, Giorgio c’è, Giorgio sembra in forze e quando discretamente lo incitiamo sorride. Sempre di intesa con altro ciclista ed anche per toglierci dalla scia tossica della gran numero di veicoli motorizzati in colonna facciamo un ulteriore scatto innanzi con la curiosità di spiare l’antagonista Polacco Bartosz Olszewski, avanti circa quattrocento metri. Si ha un bel dire a cercare un appena accennata pesantezza degli appoggi o un impercettibile rigidità delle braccia, il Polacco non molla, continua a spingere forte e raggiunge dopo la discesa verso l’alveo fluviale il ponte della Becca con un margine incrementato in una performance che posso solo ammirare.
Tutto questo però a metà
dell’attraversamento dell’affascinante struttura che scavalca la confluenza di
Po’ e Ticino perde temporaneamente preminenza in uno di quegli istanti della
vita in cui senza preavviso gli occhi e i sensi tutti ti riempiono della meraviglia
del mondo.
L’aria estremamente tersa dopo le
piogge della mattinata esaltava i colori di tutta la natura circostante, dal
verde intenso dei boschi sulle rive dei fiumi alle acque limacciose sotto di
noi in contrasto con l’azzurro accesso del cielo. Le geometrie metalliche del
ponte erano pervase dal sole che inondava in controluce di caldi riflessi dorati l’azione solitaria del
corridore davanti a tutti noi, che appariva come l’epica conquista metro per
metro di un nuovo mondo inesplorato.
Alla mia sinistra, in mezzo alla
carreggiata del ponte eccezionalmente vuoto di traffico era in quel momento un
vigile motociclista con cui ci si era già scambiati qualche battuta di
coordinamento ed anche di commento sulla corsa e anche a lui sotto il casco
si coglieva un espressione di mal celato appagamento.
Proprio l'agente, che avevo sentito qualche
chilometro addietro lecitamente discutere con un collega sull’entità dei
rimborsi ed indennità per questa missione fuori comune e così estesa per tempo
e chilometri percorsi, stava gustando come me l’attimo, rilassato in sella alla
sua moto e senza urgenze nel servizio, consapevole in fondo che la remunerazione vera
della sua giornata era qui ed ora.
In tono confidenziale che mai
avrei altrimenti rivolto ad un vigile nell’esercizio delle sue funzioni
guardandomi intorno gli dicevo allora semplicemente:
- è molto bello tutto questo non
è vero?
Mi rispondeva allora sorridendo
apertamente:
- Si, vero … e ci sarebbe pure un
ristorante di quelli giusti proprio là dietro quasi sotto il ponte …
Atterrando al termine del ponte
nell’oltrepò si torna nel clamore della provinciale con una lunga fila di
macchine in coda sulla carreggiata opposta con qualcuno che in ogni caso scende
dal veicolo ed applaude e si avverte che ormai non manca molto per arrivare al
momento conclusivo della gara, non restando che ammirare e supportare l’azione
dell’ultimo atleta residuo.
La catcher e tutto il suo seguito roboante
sopraggiunge come folata di vento improvvisa e tutti noi ci accostiamo al
margine della strada mentre il vincitore si accascia tenendosi la testa tra le
mani stremato ed incredulo, sedendosi poi su uno scarno quanto provvidenziale
basso muretto di cemento che mai vide cotanta animazione nei suoi paraggi.
Per qualche istante pare che
nessuno osi avvicinare il campione lasciandolo come un alieno al centro di uno
stretto cordone di osservazione con le telecamere della ripresa diretta a
spiarne l’esplodere di emozioni dopo tanta tensione. Dal nostro lato, sempre in
vicinanze privilegiate, lanciamo allora noi ciclisti un applauso liberatorio
che fa da sfondo alla consegna di una fascia ed un trofeo per il vincitore.
Non c’è podio, non c’è traguardo,
non ci sono palchi e tra poco il muretto di cemento, con il ritiro della
sarabanda temporanea della gara, tornerà alla sua anonima presenza quale punto
qualunque della strada, come i tanti che collegano su questa stessa strada due
case, due città, due sponde di un fiume in mezzo ad una regione.
Cionondimeno e anzi proprio per come si è palesata e senza tema di smentite fu vera gloria.
Cionondimeno e anzi proprio per come si è palesata e senza tema di smentite fu vera gloria.
E’ infatti significativo e io credo
proprio nel profondo senso di questa manifestazione, che sia stato un pezzo di marciapiedi indistinto e non un arco di trionfo ad essere testimone dell’impresa di tenacia
espressa da uno dei quattromila nell’arrivare al vertice delle potenzialità,
sublimando così lo stesso valore di ciascun uomo che esprime le proprie qualità per
arrivare ogni giorno con fatica in un punto senza un cippo, una bandiera o un
traguardo riconoscibile al mondo.
Foto credits Wings for Life - Milano, 7 Maggio 2017
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