Alla fine maratona o non maratona
le gambe son tornate.
Ci son volute quasi un paio di
settimane, proprio ora che è tempo di traslocare nuovamente casa e lasciare
l’asilo fortunato di Sesto San Giovanni e con esso il terreno del parco Nord
che ha ospitato tante mie corse in cinque mesi. Ne ho esplorato e scoperto i
percorsi in lungo e in largo cominciando con timide uscite nello scorso
novembre dopo un periodo fermo per un infortunio. I morbidi prati sono stati un
balsamo per ritonificare gradualmente le gambe ed in seguito affrontare ogni
tipo di terreno dalla terra battuta al
ghiaietto fino all’asfalto dei tanti vialetti, per rettilinei, curve, sali
scendi e sterrati che fossero, solo con i miei pensieri, immerso nelle
sensazioni del corpo.
Ad eccezione dei fine settimana nelle domeniche lo sfondo
delle mie uscite lungo l’inverno sestese è stata l’oscurità delle prime ore del
mattino fino alla debole luce dell’alba che mi attendeva per svelare paesaggi
spogli e assopiti, tante volte sotto un lenzuolo di brina. Uscire sul ballatoio
del piano rialzato affacciandosi sul giardinetto prospiciente la strada
illuminata artificialmente, ogni volta era come presentarsi su una banchina
portuale da cui entrare in un mare oscuro ove immergersi per un percorso direttamente
contiguo al territorio dei sogni appena abbandonato lasciando un tiepido letto.
Qualche presenza nel tragitto per arrivare al ponte che da accesso al parco,
oltre la serranda ancora semichiusa della panetteria in fondo alla via Timavo,
il barista della pasticceria siciliana che dispone il bancone, l’uomo
intabarrato che accompagna il cane ai giardinetti, non distraevano il mio
passaggio allo spazio isolato fatto di respiri e pulsazioni cardiache che mi
attendavano nei percorsi vigilati dai soli corvi. Una parte della mente allora,
una parte sola, più simile ad un meccanismo di autopilota, come sempre quando
ti stai allenando, diligentemente sopraintendeva ai ritmi e alla scelta delle
direttrici.
Un altra parte della mente, il
resto delle funzioni intellettive e, più dentro, le recondite connessioni
nervose all’anima, trovavano un substrato ideale negli spazi vuoti, bui e
silenti dei boschetti spogli alternati a vaste radure per uscire ed espandere
emozioni e sensazioni, mescolando ricordi, idee e progetti, altrimenti
accantonati alla rinfusa nei magazzini della memoria durante tutta la giornata
cosciente.
Un particolare percorso ho amato
seguire finendo per ripeterlo più volte seguendo su sterrato dapprima un emiciclo
alberato e il costeggiamento di una fitta boscaglia un falsopiano a salire per
un lungo viale in mezzo ad alte alberature. Lambito poi un laghetto ghiacciato per qualche
mattina in gennaio ed altre in febbraio strabordante nebbia,
si costeggiava il perimetro dell’aeroporto turistico di Bresso per uno stretto sentiero serpeggiante
in mezzo a fitti arbusti. Qui, nell’assenza di ogni luce artificiale e con i
soli riverberi di luna e stelle, l'istinto prendeva di necessità la guida per
evitare gli ostacoli sul terreno intuendo con tutti i sensi risvegliati
l’andamento della via ad ogni appoggio. L’uscita infine dalla boscaglia
riprendendo vialetti aperti di ghiaietto coi muscoli ormai caldi e un
consapevole flusso ritmico di respirazione in armonia con la frequenza cardiaca
generava spontaneamente una preghiera a volte pensata, a volte sussurrata,
altre pronunciata ad alta voce: “Ave Maria, piena di grazia”.
La prima notte nella nuova casa
ho preso sonno oltre le cinque e trenta quando già qualche bagliore dell’alba
allontanava la notte, ma non i pensieri e le incertezze dalla mia testa, ancora
presenti due ore dopo al risveglio dell’incontrovertibile nuovo giorno, un
sabato carico di limpido azzurro.
Nessun dubbio di come e dove
andare a schiarirli, un incrocio, qualche centinaio di metri di marciapiede, la
ciclabile ed ero sul ponte all’imbocco della lunga dirittura dell’alzaia
naviglio grande, con la prospettiva verso l’infinita lontananza oltre la grande
città.Chilometri e chilometri, rettilinei, piani, asfaltati, misurati, dove correre per lunghe distanze a ritmo costante senza guardare l’orologio oppure ripetute veloci o corse in progressione, sapendo sempre molto bene dove sono: un piano cartesiano per il quale disporre di due variabili altrimenti dette fin dove e per quanto.
Si incomincia per lo scivolo
adiacente al ristorante Brelin, poi si prosegue superando vicolo dei lavandai,
continuando accanto al libraccio, quindi sfilano tutti gli intercambiabili bar
e locali, alcuni dei quali già riaprono con le colazioni, più oltre le
canottieri e i canottieri, il ponte di ferro, il rimessaggio caravan, il
transito sotto il ponte di Buccinasco, ancora per il restringimento accanto
agli orti, fino al gomito del canale ed alla collinetta del quartiere delle
case nuove.
Metro per metro, sassi, buche,
segnali, è tutto conosciuto e i pochi cambiamenti confermano il tempo della
vita trascorso, le vite dei passanti, ciclisti, pattinatori e podisti che
numerosi animano questa via, anche lei, nel suo modo, lontano dal traffico e
fuori dalla città.
Con molti più podisti che nella
dispersione del Parco Nord ci si incrocia, con alcuni ci si saluta, e con
alcuni si corre assieme per un tratto chiacchierando:
è passato un inverno intero, eccomi di nuovo, ora torno a casa, tutto scorre e
così una quindicina di chilometri volano via fino all’androne di ingresso.
Qui, in pantaloncini e sudato, mi
imbattevo per la prima volta, nella portinaia che, intenta a passare con
l’aspirapolvere la passatoia, appena si voltava guardandomi di sottecchi.
Nella storia, certo, si
propiziarono incontri più solenni, diciamo se non per il carisma dei protagonisti, quantomeno
per lo scenario o il contesto degli eventi.
Cionondimeno cerco di darmi un
contegno ed enfatizzo una pseudo presentazione per quello che sarà, auspicando
di non traslocare nuovamente l’anno prossimo, un convivenza duratura:
- Buongiorno sono Nicola Brambilla,
profferisco soffermandomi col busto ben dritto e un piede avanzato sul primo scalino, senza peraltro poter
dare al dialogo né l’enfasi di un Garibaldi a Teano, né l’imperturbabile etichetta
di un Henry Stanley sul lago Tanganica;
- Già, dice lei, al pari dello Jedi a
cui si palesa Luke Skywalker come da tempo immemorabile predetto.
Runner, penso io allora e non c’è
bisogno di dirlo, così come della casella della posta considero di parlare
lunedì mattina vestito in giacca e cravatta, mentre la supero di un balzo
dirigendomi per i sei piani di scale anziché all’ascensore già fermo al piano.
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