Asfissiante estate milanese: aspettare,
restare in paziente difesa e fare quello che bisogna fare in attesa di un altro
giorno, di un'altra settimana e di un'altra stagione, mentre il tempo fa il suo
lavoro, procedendo a srotolare il percorso degli eventi necessari.
A volte questo è quanto è
necessario essere: una pianta attaccata alle proprie radici mentre la piena
dilava e trascina via quello che non sarà, oppure, più semplicemente quello che
porta avanti e finisce ciò che è stato iniziato.
Nemmeno l'attività di correre è avulsa dal momento,
considerando che aver completato la cento chilometri del passatore,
anche senza particolari traumi, ha chiesto comunque un tributo rilevante più ancora
che in termini di risorse fisiche di motivazioni ed aspettative.
Cosa andare a cercare ora? Quale
soddisfazione ricavare dall’andata e ritorno sulla quotidiana alzaia del
naviglio?
E’ il momento dunque di perseverare
nella grande sfida della routine, ricordandosi momento per momento, metro per
metro la strada che un giorno si è intrapresa e che il traguardo potrebbe anche
venirti in contro proprio dopo le prossime due curve.
Vien buono allora giusto lo
spunto che colgo per fondare un obiettivo, almeno podistico, dato da un
concorso sponsorizzato con in palio la partecipazione alla maratona di New York.
In era social si tratta di
condividere allenamenti periodici nei quali ricomprendere alcune prove chiave per
qualificarsi come maratoneta, tra cui in questa fase la classica distanza della
mezza maratona.
In questa stagione nessun folle
sadico organizza una ventuno chilometri nella pianura padana?
La faccio da me, niente
iscrizione, niente pettorale sulla canotta, niente chip, pubblico, nessun
giudice e nemmeno gonfiabili all’arrivo e alla partenza, io solo contro me
stesso e la strada, quella detta alzaia sui due navigli che si incontrano verso
la darsena in Milano.
E’ un domenica mattina di un
torrido luglio ed ormai passate le otto e trenta il sole non ha ostacoli nel cancellare
l’ombra dall’asfalto cittadino e far salire rapidamente la temperatura, segnalata
già a venticinque gradi alla mia uscita di casa. Cionondimeno non mi faccio
mancare un paio di chilometri di riscaldamento, arrivando all’ideale linea di
partenza sul naviglio pavese oltre la circonvallazione esterna già abbondantemente
sudato, con una bottiglietta d’acqua palleggiata da una mano all’altra come
unico ristoro previsto.
Uno, due, tre pronti, via, mi
dico facendo partire il cronometro e cambiando repentinamente passo, nella silenziosa
assenza di alcuno spettatore e sparo di partenza. Non è difficile raggiungere
il ritmo desiderato e fare anche meglio sui rettilinei del naviglio pavese dopo
una primo tratto nervoso attraverso il parchetto del ronchetto, ma come sarà un
po’ più avanti in spazi aperti con il sole che monta rapidamente? Chiusi senza
intoppi i primi già noti e frequentati chilometri, attingendo di tanto in tanto
dalla bottiglietta ormai calda e scivolosa di sudore, arriva il momento di abbandonare
come da progetto il naviglio pavese per cercare una congiunzione attraverso le
campagne del parco agricolo sud di Milano con il naviglio grande con il quale poi
tornare verso casa formando un ovale, preventivato proprio in ventuno chilometri
circa, fino ad arrestare il gps allo scadere di ventunmilacento metri (esatti) sia dove sia.
In effetti apprezzo questo
paesaggio di amene risaie verdeggianti, bordate dall’orizzonte della lontana
corona dell’arco alpino che inviterebbe pure a distendere la falcata e proiettarsi
a bruciare un po’ di energie verso e oltre qualche cavalcavia dimenticato dal
traffico se non fosse per la mancanza di alcun riparo all’implacabile
irraggiamento solare, ormai a pieno regime in combutta con un afa da paese tropicale.
La bottiglietta, pur centellinata
è ormai semivuota quando raggiungo le propaggini esterne di Corsico che segnano
l’abbandono dei campi per lunghe vie o viali della cittadina, tutt’uno con
l’adiacente Buccinasco, satelliti di Milano. Salvo maggior attenzione in
prossimità di qualche rotonda ed incrocio posso comunque continuare a spingere
su buoni ritmi la corsa beneficiando se non sempre di alberature, almeno di case
e caseggiati figli dello sviluppo degli anni settanta e ottanta, ora
piastrellati, ora balconati, meno spesso con un residuo giardinetto prospicente.
Diversamente da quanto certamente
troverò sul naviglio grande con frequenti incroci e sorpassi di altri
corridori, qui sono l’unico podista, corpo estraneo ai radi passanti in pigra avanscoperta
domenicale e ai frettolosi automobilisti direzionati chissà dove.
Ecco però un riferimento
plausibile: qualche decina di metri avanti a me un ciclista attempato e
corpulento che procede sulla mia stessa direttrice e che posso raggiungere per
il conforto di una breve scorta e di un possibile sorpasso giusto per avere
contezza della mia corsa.
In breve gli sono alle spalle e
lui si volta appena, sentendo i miei passi e la mia respirazione ritmata pure
meno rumorosa della sua.
Accellera, senza variazioni
brusche ma è indubbio l’aumento della sua velocità con la remota riserva se sia
un fatto casuale, scollegato dal mio tentativo di sorpasso rintuzzato.
Io tengo, gli sono dietro, sfruttando al meglio la scia nella più
classica delle improbabili sfide da strada non dichiarate.
Lui su altrettanto pesante e poco
performante vecchia bicicletta, in poche centinaia di metri inizia a far
sgorgare dalla larga nuca rivoli di sudore che riaffiorano poco più sotto dalla
camicia bianca segnata da larghe bretelle blu e tuttavia non sembra demordere
dallo spingere sui pedali prossimo ad un limite fisico.
Nessuno testimonierà mai la
cronaca del titanico scontro svoltosi non solo lontano da reporter e da ogni mezzo
documentario ma nemmeno ammesso dai protagonisti, una autentica guerra fredda con trenta gradi.
Io tengo a bada la respirazione e
lo sforzo, conscio essere appena oltre la metà del mio percorso e timoroso di
andare fuori giri, lui capisce l’inutilità di rischiare un colpo apoplettico
col giornale ancora piegato nel cestello nel tentativo frustrato di liberarsi di
un indispettente seguito.
Al dunque e col pretesto infine
di un tratto acciottolato rallenta appena ed io di inerzia lo sopravanzo
lentamente, dapprima accostandolo.
E’ l’occasione sua di rompere un
silenzio innaturale nell’intimità degli
antagonisti:
-
giuin 'n du te vet inscì masarà?!
-
vu indrè a cà, se ghe la fu!
-
Ma va a ciapà di ratt!
-
davvero grato, grazie del passaggio e della
compagnia arrivederci
-
Va a fas dì in gesa!
Il ponte per imboccare l’alzaia
del naviglio grande è ormai vicino, qualche chilometro è andato senza pensarci,
poi sarà la solita strada a portarmi indietro, bollente ma piena di utili riferimenti.
Ancora grazie, un avversario di
livello è tutto quello che serve alla fine, tutto il resto è scenografia.
Commenti
Posta un commento