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Un momento di gloria

Nel fitto programma podistico autunnale Milanese alla popolarissima DJten succede a distanza di sette giorni, patendone forse in termini di partecipazione l’ombra, la Avon running, la corsa evento promossa da radio DJ versus la corsa delle donne pro ricerca sul cancro, aperta da alcuni anni anche agli uomini.
Volendo partecipare in questo periodo ad una dieci chilometri, anche come stimolo e test di velocità, per me non si pone alcun dubbio nella scelta tra le due, costi, logistica, effettiva corribilità, riconoscimento FIDAL con relativa classifica, nella mia considerazione sono tutti per la corsa in rosa, per contro a mio avviso ingiustamente piuttosto poco quotata tra gli agonisti.
Per giunta mi ero potuto recare alla partenza in piazza Castello comodo, comodo, con appena dieci minuti di una rilassata pedalata in una domenica mattina dal promettente cielo simil estivo in compagnia dell’amico Ciro, il qualche talvolta ha l’impudenza di definirmi come il ragazzo con cui corro, anche se in particolare le tante giovani e meno giovani che seguono la vivace animazione nel villaggio della corsa probabilmente troverebbero non del tutto appropriata la definizione al cospetto della mia chioma imbiancata.
Io in ogni caso, tolti pantaloni della tuta e strati di maglie e magliette di vario spessore, in pantaloncini minimal e canotta competition con pettorale spillato, non mi trovavo affatto a disagio né climaticamente né socialmente nel bel mezzo pulsante di un eterogenea popolazione di runner convergenti sulla partenza.
Non mi son fatto nemmeno troppi scrupoli nello scalare diverse file verso la linea di partenza rispetto ai tanti partecipanti con evidentemente poco ambizioni di performance, salvo fermarmi prima che le fila si facessero troppo serrate, anche per attendere in posizione un po’ più rilassata lo sparo dando sfogo ai rituali di controllo stringhe e stretching pre partenza ma più ancora per dare una misura di contenimento a quello che dovrebbe essere il mio approccio alla gara, senza farmi coinvolgere sui ritmi spinti dei primissimi.
In effetti era stata una settimana non proprio confortante per la mia condizione fisica in generale ed in particolare per il solito polpaccio sinistro, foriero di segnali di affaticamento sconfinati nella sofferenza, riflessi inascoltati del più banale e classico errore del podista amatoriale nell’eccedere nel carico repentino di chilometri e velocità, come successo con la mezza di Pavia e successivi allenamenti.
Alla tempesta perfetta avevano concorso oltre a una faticosa trasferta lavorativa una sfortunata foratura il venerdì sera precedente che mi aveva costretto ad un non breve rientro camminando con scarpe rigide più adatte al limite a due figure di tango.
Così, chino sulle scarpe, incidentalmente sondavo l’arto  a rischio cedimento, fortemente dubbioso sull’opportunità di prendere il via.
I minuti d’attesa in ogni caso passavano rapidamente con il sottofondo di musica e speaker, e senza quasi accorgermene mi trovavo dopo il via a metà del primo chilometro in uno già scarno gruppetto con altri tre corridori distaccati di una cinquantina di metri dal solitario primo.



 Quando il percorso imboccava via Statuto, verso la zona di Brera ed il centro storico, in assenza di segnali negativi dal mio corpo, provavo una modesto incremento di ritmo stando attento a eccedere nello sforzo e, senza incontrare resistenza, staccavo progressivamente la temporanea compagnia per avventurarmi da solo nella scia del fuggitivo, in realtà irraggiungibile ma ancora in vista ad una cinquantina di metri.



Mi trovavo così, verso il terzo dei dieci chilometri di gara, a correre inaspettatamente da solo nel bel mezzo di via Manzoni a seguito di una moto staffetta della polizia municipale, provando oltre alle consuete fatiche del corridore di fondo l’inusitata ebbrezza da esposizione alla testa della corsa.
Dopo un tratto di via monte napoleone, dove solo un ladro in fuga dalla rapina in gioielleria correrebbe più forte, tra la curiosità degli eleganti passanti si accedeva alla austera piazza Meda, insolitamente priva di traffico, preludio all’accesso ad una corsia appositamente transennata nel bel mezzo di corso Vittorio Emanuele a puntare piazza Duomo.
Sono le dieci passate di un caldo ottobre quando entro nel pieno sole di piazza Duomo, tenendo dritto lo sguardo avanti, con la faccia bagnata di sudore, la respirazione forzata e capto con la visione periferica le persone ai lati del percorso, qualcuno in attesa del momento opportuno per attraversare, qualcuno in curiosa osservazione, altri armeggianti smart phones e taluni a lanciare timidi applausi ed incitamenti.
-          Hey, guarda un po’ dove stai, non è magnifico qui lanciato, un pubblico e una pista riservata nel cuore della città, solo avanti, come se fossi un campione in una gara memorabile?!
-          Si, vedo e sento, i turisti ostacolati dalle transenne, il petto che scoppia e la temperatura crescente ottima per sedersi a mangiare un gelato, mica per scioglierti tu come un ghiacciolo sull’asfalto!
-          Beh le gambe ci sono il fiato pure, io ti dico che adesso batto un cinque a quei bambini con le manine tese e me la godo a palla verso via Dante e oltre fin che ce n’è!
-          Bravo, bravo, proprio quello che ti ci voleva, tre settimane di carico di fila a concludere con la tirata sul pavé! 
Già, il pavé di via Manzoni segnato oltretutto dalle rotaie del tram, il lastricato del centro e poi, ancora, il pavé di Foro Bonaparte, tutto un programma per caviglie, tendini e i soliti polpacci, ma si tratta ora di uscire in piazza Cadorna con ancora l’onore di una staffetta motociclistica riservata, sguardi curiosi di più radi e occasionali passanti e finalmente un bell’asfalto liscio amico della regolarità.
-          Te vist?! Metà gara passata e sono ancora qua in spinta, bello stile e solitario! 
-          Si vero, in effetti se giri qui adesso a destra sei a duecento metri dal deposito borse e dalla bicicletta comoda comoda per ritirarti in buon ordine dopo un bel cinquemila per il centro;
-        Neanche da  pensarci, adesso c’è la salitella della triennale dove una volta tanto ci si prende una rivalsa sui passaggi in totale imballamento della Milano City Marathon.
-     E ti ricordi della ekirun dello scorso anno e dei preavvisi proprio li di una stagione chiusa prematuramente?
-      Allora aumento la frequenza e mi bevo i duecento metri di questa ridicola increspatura del terreno per poi  accelerare in discesa verso l’ultima parte!
Eccolo il palazzo dell’arte, sede della Triennale di Milano, con gli alti archi dell’ingresso emergenti da un lato appena mosso in rilievo del parco Sempione ed ecco scorrere sotto i piedi, con non eccessivo impegno incrementale e poche pulsazioni al minuto in più, la morbida chicane in leggera salita fino al progressivo cambio di pendenza a favore.  
-          Visto, nessuno davanti, nessuno dietro e sempre in spinta?! Adesso  peso avanti e a manetta per un pezzo veloce  prima di entrare nel parco!
-          Si ma occhio a non esagerare, c’è quella tensione in basso …
Ho un repertorio di fotogrammi immaginifici di altrettanti subitanei crasch tanto preannunciati quanto irrimediabilmente scenografici nella loro esplosiva manifestazione:
la vettura di formula uno in testa al grand prix il cui motore negli ultimi giri improvvisamente erutta fumo e fiamme, il discesista che dopo un percorso netto nel ripido finale incoccia con la punta dello sci in un grumo di ghiaccio e capitombola rovinosamente o il ciclista in fuga che fora nell’ultimo chilometro.
Tac, una fitta pungente e tutti i disastri passano in sequenza nella mente in un istante.
-          No, no, no, cosa è stato quel vuoto su un passo, quella fitta al polpaccio sinistro? Un cecchino appostato su un tetto con una carabina, una freccia a tradimento da dietro?
-          Sei in piedi, ancora in moto scarica tutto sull’altra gamba, stacca e rilassa, stacca e distendi, niente panico, non manca molto e forse non è così grave.
-          Okai, okai, niente panico , metro per metro, pezzo per pezzo, navigazione a vista e controllata.


L’emiciclo piatto ad incrociare corso Sempione che porta in vista dell’arena scorre via così, rallentando quel tanto che basta ad ascoltare i riflessi dall’arto infortunato e a non sforzarlo oltre il minimo necessario per proseguire.
-          Non c’è dolore acuto, non è uno stiramento, certo non un strappo, forse una contrattura, oppure una qualche infiammazione, quel che importa è limitare i danni per ora e per dopo.
-          Allora dovresti fermarti o trotterellare fino all’arrivo.
-          Sia mai, corri e taci, taci e corri, corri e taci …
In breve mi viene incontro l’ingresso nel parco, non dall’accesso solito della Stramilano, sulla destra dell’arena civica ma un po’ più oltre ad aggirare sulla sinistra l’impianto monumentale.
Di qui o dritto gesticolo all’addetto sorpreso assopito su un possibile bivio ma la bandierina gialla resta puntata inerte sui suoi piedi fino a quando gli sono quasi addosso e sono costretto a rallentare, manco stessi cercando con la cartina turistica in mano Santa Maria delle Grazie ed il Cenacolo.
-        Giusto questa, mancano tre chilometri, già sei sceso di ritmo e ti pianti  pure!
-        E adesso ti voglio vedere a riprendere il passo sul brecciolino e con l’arto a mezzo servizio!
-       Lo senti dietro? Fine della fuga, quasi quasi ti conviene farti raggiungere alla svelta e sfruttare una scia per il finale;
-        Eccolo, due metri dietro, nota il respiro e cadenza regolari, ne ha e ti si pappa in un boccone;
-        E’ pure furbo aspetta il momento giusto e a questo punto non posso neanche mettere la freccia e farmi da parte;
Il percorso si snoda ora all’interno del parco con frequenti curve e lievi ma fiaccanti sali scendi ma è su un ampio slargo su un viale rettilineo che subisco l’annunciato attacco, un accelerazione di potenza che non mi lascia alcuno spazio di replica.
-     Che pensavi di fare? Si è portato dietro anche la prima donna, divisa della Atletica Bracco tipo la Juventus campione d'Italia, agonista mica improvvisata.
-      Si, si, credimi se non era per la gamba e ammesso che mi avessero raggiunto gli avrei minimo minimo fatto sputare sangue fino all’ultimo metro, 
-      Ok, ok tutto bene, fai il bravo, anche se devi lasciarli, ora non mi mollare qui, un duemila per favore si può tirare a casa anche con una gomma sgonfia.
-       Allora tieni il passo e soffri in silenzio: zitto e corri, corri e zitto.
Due ultimi snodi e si esce dal terreno del parco per il viale asfaltato di piazza castello, un lungo semicerchio fino al traguardo prospiciente la fontana, non ho nessuno dietro mentre l’uomo e la donna che mi hanno passato sono involati a più di cinquanta metri da me.
-     Lascia perdere lo sprintone, schiena dritta spalle rilassate;
-     Va beh, vedi che risulta pure corta di un cento metri, niente personal best ufficiale;
-     Il traguardo, sei intero resta un podio assoluto, provaci a sorridere!
-  D'accordo, facciamo piuttosto dignitoso, esultante un altra volta.


Non c’è spazio dopo l’arrivo per attaccare un cento metri a farne diecimila per ratificare le statistiche personali, dunque mi fermo un po’ stranito evitando di dare ascolto al polpaccio  e pensando piuttosto come sono stati quei metri in piazza del Duomo, petto avanti e falcate ampie.
Faceva caldo, oltre al sudore l’acido lattico scorreva a fiotti e i prodromi fastidiosi dell’accidente alla gamba si manifestavano e, si, faceva proprio caldo, questa è la verità.
-          Un bicchiere d’acqua per favore, nient’altro grazie.
Mentre il cuore torna al suo ritmo proprio è un vero piacere placare la sete sorseggiando come un brandy fresca e dolce acqua da un bicchiere di plastica.
Finito, basta adrenalina, ora respiro lento ed endorfine, quale potente droga è la corsa.

foto credits:
https://andocorri.blogspot.it/2017/10/15-ottobre-2017-milano-avon-running-in.html




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